venerdì 2 dicembre 2011

Nelle scuole di New York si raddoppia? O si dimezza?

Certo, Michael Bloomberg—il Sindaco di New York—ha invocato una scusa molto italiana quale quella di essere stato frainteso e citato fuori contesto: solo che i testimoni che l’hanno visto e ascoltato non sono affatto personcine da poco, ma nel suo ultimo discorso erano dei partecipanti ad un convegno al Massachusetts Institute of Technology, il MIT di Boston, vale a dire uno dei templi dell’istruzione nel mondo.

Bloomberg ha dichiarato, non troppo a denti stretti a dire il vero, che se dipendesse da lui gli insegnanti dovrebbero essere la metà in meno nei numeri complessivi, e le classi dovrebbero avere il doppio degli alunni. I conti sono più facili con questo secondo parametro: dall’attuale media a New York di 35 alunni per classe si passerebbe a circa 70. Nelle scuole superiori.

If I had the ability, which nobody does really, to just design a system and say, ‘ex cathedra, this is what we’re going to do,’ you would cut the number of teachers in half…

Se io fossi in grado — ma nessuno lo è — di ridisegnare concretamente il sistema e dire, ex cathedra, “Questo è quel che faremo, vedresti il numero degli insegnanti tagliato della metà…

Le parole di Bloomberg sono, fra le altre, queste e si leggono con un bell’articolo di commento sullo Huffington Post di oggi (così come su tantissime altre testate statunitensi).

Beh, almeno l’aggiunta di voler raddoppiare lo stipendio ha addolcito un po’ la dichiarazione sfuggita di bocca e ovviamente fraintesa del Sindaco: “double the compensation of them“… Almeno fin quando non ci si è ricordati di una sua precedente dichiarazione primaverile dai toni simili e con la previsione di 4.000 tagli del personale insegnante, e dei 780 licenziamenti dal 2002 (anno del suo primo incarico a New York) ad oggi.

Meglio non parlare di quel che avverrà in Italia: e speriamo che il ministro Profumo faccia bene il suo difficile mestiere ricordandosi del suo passato di insegnante e rettore…

giovedì 1 dicembre 2011

Dopo lungo silenzio

Ho ritrovato questo mio vecchio e antico blog dopo una pausa di tre anni: tempo immemorabile, per come lo si vive in Rete…

Da qualche altra parte ho cercato di parlare di una esperienza simile con un ragionamento più teorico: qui invece mi piace ricordare come certi pensieri corrano per lunghe distanze senza troppo cadere oppressi dalla fatica o dalla polvere che via via si solleva — e rileggendo i post di anni diversissimi ormai, ritrovo cose inaspettate e che non avrei sospettato oggi.

Qui parlo (come d’abitudine per questo blog) di politica, nel senso più ampio e generale del termine: ogni commento dunque è ben accetto, specie quando sia privo di insulti e possibilmente stimolante  per la discussione.

A presto dunque (o chissà a quando, visti i precedenti!)…

giovedì 1 dicembre 2011

Presto e bene, signori!

La tentazione di non parlare della politica fatta, ma di astenersi—in maniera sobria—e di pensare solo alla politica sperata, è forte. Una generazione che vive con in mente la violenza di Un giorno di ordinaria follia non esiste, come viene invece ripetuto a volte da chi non ha intenzione di abbassare i toni del contrasto politico. Non ci saranno spari di bazooka fra qualche settimana, come le proteste per l’apertura di una nuova discarica di rifiuti saranno probabilmente pacifiche come quelle per bloccare la costruzione di una linea dell’alta velocità ferroviaria, o per manifestare il disagio per il lavoro mancato o precario.

Non è un caso però che siano le posizioni più nette a prevalere, almeno per l’attesa che questo nuovo Governo inizi a mettere in pratica quanto dichiarato: ma subito riprendono minacce e proteste.

Soprattutto: come si farà a chiedere di far presto e bene quando ci si immagina che i tecnici facciano tutto così normalmente? Beh, normalmente si fanno presto e bene solo le cose più semplici, non altro.

Ma i tempi di concentrazione dell’attuale politica sono quelli brevi cui ci si abitua presto a convivere a scuola, durante i ragionamenti al bar o nella sala d’attesa di un medico: da chi pensa in breve quindi, non ci potrà aspettare che giudichi in lungo, anzi.

E dai tecnici, dai professori, ci si aspetterà la risposta più semplice e semplificata: nessun ragionamento, nessun approfondimento. “Se proprio hanno da fare qualcosa, saranno ben in grado di farla con velocità e precisione! Se no, per quale motivo li abbiamo messi lì…?“: non è una frase plausibile, da ascoltare per strada distrattamente come in maniera distratta viene pensata e pronunciata?

mercoledì 29 ottobre 2008

La banalità del voto

Mi è capitato di scrivere da qualche parte (credo sia pubblicato su Internet, ma sinceramente e non per snobismo affermo che adesso non ricordo dove) alcune riflessioni che vengono dal Trattato del Ribelle di Ernst Jünger:

Il lettore saprà, per sua stessa esperienza, che la natura dell’interrogazione è cambiata. Nell’epoca in cui viviamo gli organi del potere ci interrogano senza posa, e certo non si può dire che siano animati esclusivamente da un’ideale brama di conoscenza. Quando ci interpellano con le loro domande, non cercano il nostro contributo alla verità oggettiva, né tanto meno, alla soluzione di questo o quel problema particolare. Ciò che gli importa non è la nostra soluzione, bensì la nostra risposta. La differenza è importante. Assimila l’interrogazione all’interrogatorio. Possiamo osservarla seguendo l’evoluzione che dalla scheda elettorale porta al questionario.

Jünger scrisse questo luminoso libretto nel 1951: adesso il questionario a cui si riferiva si chiama sondaggio, e proprio con il metodo del questionario è condotto.

Sondare, ovviamente, non significa, come già avvertiva Jünger, conoscere – e la politica fatta di sondaggi, come quella che spesso ci viene imposta nelle democrazie occidentali, non è affatto in grado di conoscere il popolo (parola antica), né almeno i suoi propri elettori (parola più moderna).

Oggi si vota il Decreto Gelmini, fra le proteste – e tutti, dal Presidente del Consiglio alle forze di opposizione, da posizioni favorevoli o contrarie si riferiscono e prendono come punto di paragone i sondaggi (siano essi quelli demoscopici o le partecipazioni alle manifestazioni di piazza).

C’è una sfasatura anche nella dimostrazione della politica – che si fa in Parlamento, in piazza, nelle sedi di partito, nelle associazioni, ovunque insomma: la dimostrazione non è l’azione.

I numeri non fanno i pensieri.

giovedì 25 settembre 2008

Bocciatura reato: Davide bocciato e Golia condannato

La minaccia è sempre segno di impotenza, di insoddisfazione, in molti casi di paura. Non esce dalla griglia il caso del professor Marcello P. di Vicenza, insegnante nel Liceo “Paolo Lioy” di quella città, che ha minacciato una sua alunna di bocciatura e per questo sarà con ogni probabilità condannato dal tribunale competente per maltrattamenti (oltre che per altri capi di imputazione, che però sono collaterali al fatto in questione – chi volesse leggere ulteriori informazioni può farlo su LaRepubblica online, qui, sul Corriere della Sera, a questa pagina, e su LaStampa, qui).

È umano parteggiare per il più debole, da Ettore in poi – non è un caso che si guardi con attenzione al diritto di un alunno (in questo caso una ragazza) a vivere i propri momenti di studio e socialità nella scuola, nel miglior modo possibile. La sentenza della Corte di Cassazione ha dichiarato i termini della questione entro la “libertà morale” dell’alunno, non solo entro quelli di un rapporto scolastico, per quanto allargato e comprensivo ai legami interpersonali esso sia.

Davide, come nel racconto biblico, viene bocciato – Golia, l’insegnante, ha la sua condanna. Per il fatto che viviamo in una società dove – al di là del caso singolo di Vicenza, e delle storie personali e professionali dell’insegnante e dei genitori della ragazza – si è instaurato un clima da “ostensione dei diritti“, minacciosa e purulenta, senza tenere conto del fatto che a scuola, che è la società dei ragazzi, che è luogo di scambio con gli adulti, che è luogo di lavoro per gli uni e per gli altri e per entrambi luogo di formazione, si elidono i doveri sempre più spesso.

Minacciare la rivalsa “per diritto” da parte di alunni e genitori, significa ledere i diritti al buon lavoro non tanto per il singolo insegnante, quanto per l’intera classe, dunque per quell’intera societas che viene a formarsi e come tutte le altre si evolve nel tempo, muta fisionomia.

Si è detto che la minaccia della bocciatura stimoli impegno e adeguati comportamenti – lasciando intendere che il problema annoso del divario fra autorità ed autorevolezza sia rimasto tale.

Credo che semplicemente, la società della scuola sia divenuta specchio dello stadio, del comizio arrabbiato, del dibattito senza contraddittorio – sentiremo mai le “vere” parole del professor Marcello P., quelle che ha pronunciato, il tono di voce? Sentiremo mai la risposta dell’alunna?

La verità di un tribunale, in uno stato di diritto, è sacra – perchè sindacabile, perchè riformulabile anche a decenni di distanza. La verità “fattuale”, ammesso che ne esista una, non gode di questi vantaggi. La società del consumo dove chi cerca di formare ed educare altre persone deve non esser libero di discutere i suoi strumenti, giusti o sbagliati che siano, è una società sperequata, instabile, violenta, più delle minacce di bocciatura e della “libertà morale” calpestata.

domenica 21 settembre 2008

Nuovo stop al CERN: i magneti e il GST

Gli amanti dei film di spionaggio  e fantascienza avranno di che pensare alla notizia che il CERN dovrà fermare le sue attività per due mesi circa a causa di un guasto al sistema di raffreddamento di due magneti.

Si è trattato di un guasto tecnico, dicono gli ingegneri del CERN, che ha portato la temperatura di servizio del settore interessato ad alzarsi troppo rispetto ai -271° Celsius, 2° Kelvin (due gradi sopra lo Zero Assoluto) alla quale i magneti raffreddati ad elio dovrebbero lavorare – la notizia si legge su LaRepubblica online a questa pagina, e anche (fra le altre) a questa pagina del blog di ScientificAmerican, dove si scopre pure grazie ad un simpatico articolo quanto tempo impiegherebbe il LHC per scongelare una pizza (per i curiosi o per nuovi imprenditori nel settore, si tratta di circa 30 nanosecondi, dunque 30 miliardesimi di secondo – picosecondo più picosecondo meno, ovviamente…).

Il fatto è che proprio qualche giorno fa un team di informatici greci, il GST (ne ho parlato nel post precedente) era riuscito a violare le barriere informatiche del CERN, sostituendo la Home Page del sito dell’istituzione con una personale, ed evidenziando quindi dei problemi di sicurezza nella rete di computer di gestione dell’intero LHC.

Sono arrivate subito le smentite e le contromisure dal CERN, ma il fatto che si ipotizzasse già in quel momento che il Greek Security Team fosse in grado di arrivare ad accedere ai computer che monitorano e regolano il funzionamento dei magneti dell’anello (gli strumenti fondamentali per accelerare il fascio di ioni che circoleranno e collideranno dentro il circuito), adesso pare una curiosa e funesta coincidenza.

Al di là dei facili giochi e del montare della paura in quelli che temevano la creazione di buchi neri a Ginevra, causati dagli esperimenti del LHC, resta la sigla riformulata del GST, che adesso vale anche “Grande Stop Termico” – insomma c’è pane, anzi pizza, per i denti degli scrittori di racconti di spionaggio fantascientifico…

domenica 14 settembre 2008

Un buco al CERN

Chissà quanti hanno iniziato a tremare sulla sedia alla notizia che un gruppo di informatici greci, il Greek Security Team (GST), è riuscito a violare uno dei computer del CERN di Ginevra, segnalando “scherzosamente” agli addetti con la sostituzione di una home page personalizzata sul sito del Centro Europeo di Ricerca Nucleare che i loro computer avevano un buco

In questi giorni e nelle scorse settimane alcune voci si erano levate preoccupate di un possibile esito catastrofico dell’esperimento di fisica delle particelle che è iniziato da pochissimi giorni lungo l’anello dell’LHC (Large Hadron Collider, che tradotto sarebbe “Anello di collisione di Grandi Dimensioni per Adroni”, che sono le particelle pesanti dell’atomo, i protoni in primo luogo), addirittura la creazione di un buco nero…

A sentire quel che riporta l’articolo di LaRepubblica online a questa pagina, gli hacker greci sarebbero riusciti  quasi ad “impossessarsi” di uno dei magneti che controllano le traiettorie e le relative misurazioni sulle particelle che ruotano nell’anello; in questo articolo del Times online invece le capacità offensive del gruppo di informatici intrusi sarebbero in realtà più ridimensionate…

Niente buco nero dunque, e a quanto pare subito riparato il buco informatico – la fine risucchiante di Ginevra e del mondo attende il bosone di Higgs e le informazioni che ne verranno

sabato 13 settembre 2008

Il primo divorzio gay italiano

Il sito de LaRepubblica online riporta a questa pagina la notizia del primo divorzio gay italiano, quello degli sposi Alessio De Giorgi e Christian Panicucci, che si erano spostati nel 2004.

Sposi per lo stato francese, visto che avevano deciso di sposarsi all’Ambasciata di Francia a Roma, e che adesso hanno comunicato la decisione al Tribunale di Parigi.

Quanta pruderie serve allora all’italiano medio per capire che non se ne dovrebbe fare un caso nazionale, da investigare nelle ragioni, da sfruttare per dimostrare ex post che i Pacs, i Dico, tutte le forme possibili di convivenza più o meno regolarizzata dalle leggi, sono inutili? Qualcuno riuscirebbe a dimostrare che hanno avuto ragione i violenti e bestiali ragazzi che hanno picchiato qualche giorno fa dinanzi al Colosseo due omosessuali che si baciavano, con tutta la pruderie che c’è in giro…

Facciano quel che vogliono De Giorgi e Panicucci: avremmo avuto articoli e discussioni di questo tenore, se avessero deciso di divorziare dopo qualche anno di matrimonio Mario Rossi e Lucia Verdi?

Ma non si tratta tanto di stigmatizzare la scemenza che si cela dietro la discussione sul primo divorzio gay in Italia, con il seguito di ulteriori scemenze su coppie di fatto e Pacs – quanto è scema la discussione sul divorzio, se viene sfruttata per far penetrare l’idea di abolirlo, di cancellarlo? Quanto è pericolosa la deriva?

domenica 24 agosto 2008

L’evoluzione dei professori del Sud

Nell’estate che volge al termine, anzi si prepara già a fuocherelli di settembre su tante questioni, qualcuno ribadisce una sorta di visione “creazionista” dell’Italia – insomma, perchè tutti questi insegnanti del Sud vanno a cercare pascolo e refrigerio al Nord? Perchè non mantenere le comunità, le popolazioni “pure”: Sud a Sud, Nord a Nord?

Il corso di aggiornamento paventato dal Ministro Gelmini, in fondo, dovrebbe pur contenere un modulo, un approfondimento, un corsicino sulla pronuncia corretta, no? Dovremmo prendere il fiorentino, però: non si transige – se ci modellassimo sul milanese o sul vicentino o sul bolognese, faremmo un torto a Padre Dante. Ma è il padre di tutti? Meno male che Graziadio Isaia Ascoli aveva visto bene anche a dispetto della nobile posizione manzoniana, e pretendeva una visione scientifica della situazione linguistica italiana. Ma è solo la lingua, il problema?

A leggere questo articolo molto coinvolgente sul New York Times, nuovamente si scopre la difficoltà degli Stati Uniti nei confronti dell’insegnamento della teoria evoluzionistica di Charles Darwin nelle scuole – noi dibatteremmo, come abbiamo fatto talvolta, su questioni di storia e di revisionismo (se non fosse che la storia ha un diverso statuto scientifico – non meno forte, solo differente – rispetto alla biologia), ma siamo da quelle parti.

Allora si scoprono il Kansas e la Louisiana con i livelli più bassi nelle graduatorie dei risultati scolastici federali – mica solo la Sicilia o la Campania – e tutte le idiosincrasie di una scuola e di un mondo dominato dalla scienza e dalla fede letteralista delle chiese cristiane. Non c’è lo zampino del Papa, ovviamente.

Nulla contro la religione, da parte mia: sono un uomo del Sud, mi occupo di Letteratura, Storia ed Arte a scuola, ho una formazione scientifica, e credo kantianamente che abbia ragione il professor Campbell (il protagonista dell’articolo, insegnante di biologia nelle scuole superiori in Florida) quando ha semplicemente risposto ad un suo alunno scettico sulle possibilità della scienza di spiegare, anzi “interrogare” il mondo e la vita, “Io non voglio che tu creda alla scienza. Desidero che tu la capisca“.

Beh, sarebbe bello se chi è da una parte della cattedra cercasse di mettersi anche dall’altra, prima di dar fiato ai ricordi di crudelissimi insegnanti del Sud intenti a cicalare in cattivo italiano prendendosela con i malcapitati figli degli operosissimi imprenditori del Nord – hanno mai chiesto, questi imprenditori, ai loro figli, se a loro i prof del Sud piacevano o meno? E in fondo, si tratta solo di “piacere” a qualcuno?

A formare una persona solo col “piacere”, si indebolisce la popolazione – niente aria nuova, niente contatti diversi – e a dirla tutta, le popolazioni si estinguono

sabato 23 agosto 2008

Non è sdegno

A non poter leggere le edizioni locali dei quotidiani nazionali, forse si fa l’abitudine: certe notizie non hanno luogo o tempo quanto uno lecitamente si potrebbe aspettare – lo sanno i giornalisti, ed è nell’ordine delle cose.

Allora se a La Spezia ieri sera una quattordicenne decide di spararsi al cuore nella sua stanza, ciò può rimanere fatto (cinicamente) locale, chissà con quanta eco più tardi (adesso sono le nove del mattino, dodici ore dopo il suicidio) su Internet e televisione e quotidiani. Un suicidio estivo, con un tocco di romanticismo per la pistolettata à la Werther o Jacopo Ortis, purtroppo – una storia da consumare vicino a Saakashvili, alle polemiche sull’esultanza di Bolt alle Olimpiadi e al petrolio (che parlicchia, in questi giorni, del resto; e non grida…).

Che poi in Germania o in Inghilterra i suicidi (e gli omicidi) di giovanissimi siano in costante e imperioso aumento, che il Giappone sia tornato stabilmente ai vertici mondiali delle morti volontarie, questo tace, o se vien messo sul tavolo della discussione, si fa fatica a trovare un discorso che non sia “Dobbiamo aiutare i giovani prendendoli per mano“, oppure “Dobbiamo rendere maturi i giovani“.

A me capita di trovare per lavoro giovani dai 14 ai 20/21, a scuola, che abbandonano, si chiudono nell’apatia, risolvono la giornata con la cannabis e divengono sempre più violenti, anche verso di sé. Non posso aiutarli: non li posso prendere per mano, né farli diventare indipendenti e maturi. Si tratta di una pia illusione. Mi trovo lì a cercare di mostrare cosa significhi pensare con lentezza, considerare, paragonare, ponderare, e a sentire le loro paure e le difficoltà – mi trovo con loro e Giacomo Leopardi, o Foscolo, o Petrarca o Montale. A volte si ride (per pienezza di vita): a volte lo sconvolgimento è totale, e arriva il rifiuto (per difesa).

Se arriva una pistolettata (per qualsiasi ragione o sragione essa sia dettata), non si tratta di indignarsi verso sé o verso il mondo: quell’isoletta che si sentiva troppo slegata rispetto all’arcipelago o al Continente, s’è mossa, forse troppo in fretta. La retorica di dopo è una scemenza.